Fotoiniziatori di origine vegetale (biologici): un "gimmick" o una "vera scoperta"
Negli ultimi anni, il divieto dell'UE sui fotoiniziatori tradizionali a base di petrolio (come il TPO e l'ITX) ha accelerato il passaggio dell'industria a alternative a base biologica.con una domanda di mercato di fotoiniziatori a base vegetale in crescita al 15-20% annuoLe tecnologie innovative come i nanocompositi curcumina-oro e la lignina sulfonata hanno raggiunto tassi di conversione dei monomeri pari all'85-92%.con alcuni livelli di prestazione che si avvicinano a quelli dei sistemi tradizionaliEssi offrono anche vantaggi in termini di biocompatibilità (40% di riduzione della citotossicità) e di eco-compatibilità (30-50% di riduzione dell'impronta di carbonio).la loro industrializzazione rimane limitata dall'efficienza della cura (2-3 volte più lenta rispetto ai sistemi tradizionali), la stabilità della materia prima (la variabilità di lotto in lotto della lignina porta al 23% di fallimenti di certificazione per i materiali medici) e il costo (US$ 45-60/kg, 2-3 volte quello delle controparti sintetiche).I fotoiniziatori di origine vegetale sono stati commercializzati in sottosettori quali gli inchiostri UV per imballaggi alimentari e la stampa 3D biomedica., ma la sostituzione su larga scala richiede di superare gli ostacoli tecnici quali la sintesi catalizzata dagli enzimi e la selezione delle materie prime di IA e di risolvere i conflitti di uso del suolo con le colture alimentari.
Nel complesso, questa tecnologia rappresenta un importante percorso verso materiali sostenibili, ma i suoi attuali limiti richiedono una visione razionale.servirà come soluzione complementare piuttosto che come sostituzione completa. I fotoiniziatori (PI) sono componenti fondamentali dei sistemi di fotocuring. Dopo aver assorbito energia luminosa di una lunghezza d'onda specifica, producono specie reattive come radicali liberi o ioni,con una lunghezza massima di 20 mm o più ma non superiore a 50 mmTuttavia, i tradizionali fotoiniziatori sintetici, come i composti benzili o aminatici, soffrono spesso di elevata tossicità, scarsa solubilità in acqua e insufficiente biocompatibilità.Queste carenze non limitano soltanto la loro applicazione nell'imballaggio alimentare, dispositivi medici e biomateriali, ma sollevano anche preoccupazioni in merito all'inquinamento ambientale e alla sicurezza sanitaria.
I fotoiniziatori a base vegetale sono principalmente estratti o derivati dalle piante, come i flavonoidi, la vitamina B2 (riboflavina) e la curcumina.Queste sostanze non solo presentano un'eccellente attività fotosensibilizzante, ma sono anche biocompatibili e rinnovabili. I fotoiniziatori a base vegetale funzionano particolarmente bene sotto luce visibile, riducendo gli effetti nocivi delle radiazioni UV sull'uomo e sull'ambiente.Numerosi rapporti di ricerca internazionali hanno dimostrato progressi significativi in questo campo, come l'applicazione di derivati di flavonoidi nella stampa 3D e il collegamento incrociato della riboflavina nei materiali dentali.La discussione intorno ai fotoiniziatori a base vegetale è controversa: alcuni li vedono come una vera svolta nella "rivoluzione verde", mentre altri si chiedono se non siano solo trucchi di marketing, date le sfide della stabilità delle prestazioni, dei costi,e produzione scalabile.
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